
Valnerina - Sisma, 04 Gennaio 2017 alle 20:00:01
Sisma, parla Barberini: 'Valnerina e fascia appenninica umbro-marchigiana a rischio desertificazione economica e sociale'
Cassa integrazione, opportunità , ricostruzione, servizi, rinascita del territorio: l'assessore regionale alla Sanità , fra i più presenti in Valnerina per il terremoto, a tutto campo sulla gestione dell'emergenza e sulle idee di rilancio. In materia di ospedale non si sottrae sul 'caso' Patriti
Daniele Ubaldi

Insieme alla governatrice Marini è stato, fin da subito, l'esponente dell'esecutivo regionale più vicino alle zone colpite dal sisma. La presenza di Luca Barberini si è fatta sentire da subito, tanto sotto l'aspetto istituzionale quanto dal punto di vista umano. Notoriamente amante della montagna e di quei territori, Barberini ha vissuto in prima persona il disagio fisico e psicologico delle persone colpite dal sisma. Per questo, anche se la sua
delega in Regione lo pone di fronte al problema solamente (si fa per dire) sotto l'aspetto socio-sanitario, l'esponente di giunta non si sottrae al confronto anche sull'argomento "gestione" delle persone terremotate. E dice la sua senza fare sconti a nessun "modello".
Assessore Barberini, siamo al nuovo anno e ancora molti terremotati non hanno ricevuto la cassa integrazione, nonostante i proclami e nonostante i soldi già stanziati dalla Regione. Non un centesimo è arrivato, neanche relativamente all'ultima settimana di agosto 2016. Com'è possibile che l'Inps sia così lenta anche di fronte a drammi come quello del sisma? "La cassa integrazione è un problema che la Regione si è posta da subito, stanziando le risorse necessarie a coprirla. Purtroppo le procedure burocratiche in alcuni casi stanno facendo ritardare l'erogazione. È il male della burocrazia, un male che dobbiamo sconfiggere, perché ovviamente non possiamo dire a chi ha perso casa che la cassa integrazione prima o poi arriverà. Deve arrivare subito la risposta a una situazione emergenziale e di difficoltà che non può essere procrastinata".
E quindi? "E quindi, fermo restando che il tema non rientra nel mio Assessorato, quello competente sta sollecitando tutti i livelli dell'Inps, anche perché questa situazione non si riscontra in tutte le categorie di lavoratori ma solo in alcune realtà. Si sta cercando di capire le ragioni che hanno determinato questo intoppo, per risolvere tutto nel minor tempo possibile".
Restiamo in tema terremoto: come giudica la risposta del sistema sanitario regionale di fronte all'emergenza? "Per quanto attiene i servizi sociali e sanitari abbiamo dato risposte molto positive. Abbiamo tirato fuori dal cratere oltre 500 persone in condizioni di disagio, dai presidi ospedalieri, dalle residenze, dalle Rsa e soprattutto soggetti con disabilità, malati cronici che erano nelle proprie abitazioni e non potevano certamente restare lì in quella situazione. Il merito va al personale della Asl e ai volontari che hanno contribuito al risultato. Abbiamo trovato anche risposte per continuare a mantenere i presidi e i servizi, perché la sfida del territorio è quella di provare a non desertificarlo".
Ecco, a proposito di pericolo desertificazione: Lei ha trascorso e continua a trascorrere tanto tempo, tante giornate nelle zone terremotate. Qual è l'impressione che ha maturato riguardo la gestione dei moduli abitativi e delle sistemazioni offerte ai terremotati? "Sinceramente, a me l'idea di allontanare tutte quelle persone non convince. Non so se è stata un'idea vincente. Se questo allontanamento è veramente transitorio e termina entro pochissimo tempo, allora può anche essere giusto, una risposta momentanea condivisibile; ma se l'abbandono del territorio da parte di quasi il 40% della popolazione si protrae nel tempo, allora corriamo il rischio di creare una desertificazione tra l'altro in delle zone in cui, nonostante le apparenze, l'età media non è poi così alta. Anche riguardo i moduli ho qualche dubbio. Anzi, sarò forse legato alle vecchie procedure di protezione civile, ma continuo a pensare che la prima risposta, in montagna al posto delle tende, dovrebbero essere le roulotte. Dopodiché, certamente, i moduli, ma con una dignità per le persone. Questo modello comunitario, con i servizi in comune, non dipende dalla Regione, ma ho la sensazione che non sia proprio la risposta più adatta ai tempi che stiamo vivendo. Forse l'esperienza del passato per certi versi è più adatta alle nostre realtà dal punto di vista umano e psicologico".
Cosa viene ora? "Adesso l'importante è dare un tetto dignitoso alle persone e recuperare il territorio con una ricostruzione di qualità, cercando di avviare un percorso che tenga conto della situazione, delle immense opportunità e potenzialità che la Valnerina possiede, e che dobbiamo valorizzare chiedendo uno sforzo importante alle aziende del nostro Paese. A questo proposito mi fa molto piacere che sia stato posto il tema da parte di Confindustria nazionale, che chiede un intervento semplice agli associati maggiori. Ognuno si fa carico di un comune, in ognuno interviene un'impresa, come ha fatto la Tod's nelle Marche. Sarebbe un grande segnale: serve uno sforzo innovativo".
Anche perché senza l'economia il territorio non riparte da solo... "Infatti. Tra l'altro è da notare come questo sisma sia stato differente rispetto a quello del 1997 anche sotto l'aspetto economico. Allora ci furono molte abitazioni distrutte, in Umbria la zona interessata fu più estesa e popolosa, ci furono anche alcune vittime; però le aziende, più o meno tutte, ripresero la propria attività nel giro di qualche giorno, dato che non avevano riportato danni rilevanti. Questo terremoto invece non ha colpito le vite, per fortuna, però ha distrutto le realtà produttive, l'economia".
Quindi a modo suo la vita stessa, anche se di riflesso diretto. "Esattamente. Allora questo è il problema: quando perdi sia la casa sia il lavoro non hai più interesse a rimanere in quel territorio. Ecco perché dobbiamo garantire due cose a queste aree: prima di tutto una ricostruzione che dia lavoro e nuove prospettive alle imprese affinché la gente ritorni a vivere e continui a sperare; poi dobbiamo aumentare i servizi, non soltanto garantendo quelli preesistenti - servizi sociali, trasporto pubblico, comunicazione. No, qui serve uno sforzo supplementare: non si può chiudere la questione dicendo che in fondo si tratta di ‘appena' 10mila persone e quel che c'è è sufficiente. Dobbiamo dare qualcosa in più, in termini di servizi e di opportunità, condizioni ulteriori per ritornare".
Ha già qualche idea? "Qualche idea c'è. Non dipende soltanto dalla Regione, ma anche e soprattutto dallo Stato e dall'Unione Europea. Pensavo ad uno sforzo innovativo, come gli incentivi ai nuovi insediamenti produttivi in questi territori, ovviamente tenendo conto della loro vocazione. Potremmo trattare con l'Ue la possibilità di istituire zone franche dal punto di vista fiscale, almeno per un certo periodo e fino ad un certo tetto. Ragioniamoci sopra. Proviamo a contrattare gli aiuti europei per le nuove iniziative imprenditoriali, affinché in queste aree la percentuale sia superiore a quella stabilita dagli standard. Proviamo ad offrire sgravi contributivi per chi avvia nuovi insediamenti produttivi o incrementa il personale. Sono tutti esempi di strade percorribili. Del resto il meccanismo della solidarietà è questo: se vogliamo dare risposte ai territori dobbiamo creare una vera rete di solidarietà, che non si esaurisca con la fase emergenziale. Ci stiamo lavorando, grazie anche ad una legge realizzata dal governo in tempi relativamente brevi, viste le circostanze sia politiche sia naturali, dato che il terremoto, purtroppo, non è stato uno solo e ha reso necessario ricominciare daccapo il discorso sugli interventi".
Parliamo adesso di Sanità. Come si è mosso il sistema sanitario regionale dal punto di vista del sostegno psicologico nei confronti delle popolazioni colpite dal sisma? "Abbiamo dato risposte con un supporto psicologico frutto dell'integrazione delle risorse dell'Assessorato, delle aziende sanitarie regionali e con il grande ed estremamente prezioso patrimonio dei volontari, che ci hanno sostenuto e accompagnato. Siamo stati presenti in tutti i comuni all'interno del cratere del sisma, in particolar modo a Norcia, Cascia, Preci e Monteleone, ma non solo in questi. Questa attività è stata molto apprezzata dai cittadini: adesso il lavoro dei volontari necessariamente va scemando, ma noi dobbiamo provare a garantire continuità con le nostre risorse, garantire i servizi per permettere la permanenza e la ripresa".
Capitolo "Patriti". Qualche giorno fa Lei ha parlato di eccellenze e futuro assolutamente roseo e garantito per l'ospedale di Spoleto. Patriti è un'eccellenza riconosciuta, ma il concorso lo ha vinto a Pesaro, e non qui. Come è stato possibile, secondo Lei? "Le scelte dei primari sono regolate da una legge precisa dello Stato. Non le fa la politica, il presidente della Regione o l'assessore, ma dei medici, dei professionisti, dei responsabili di struttura complessa che giudicano i propri colleghi con la loro professionalità, e possono capire se gli aspiranti alla posizione hanno i titoli e si meritano il ruolo. Quindi si giudicano curriculum, competenza, professionalità e doti umane e di coordinamento. Appena ho saputo che Patriti aveva vinto a Pesaro, gli ho mandato un messaggio dicendogli che ero contento per lui e per questa prospettiva di crescita professionale, ma ho anche detto che mi dispiaceva perché l'Umbria e Spoleto perdono una figura di prestigio che ha dato tanto all'ospedale spoletino e a tutta la sanità regionale. Ma non è che possiamo pensare di bloccare professionisti che hanno la giusta ambizione di crescere e vivere nuove esperienze professionali".
Adesso come si procederà? "A Spoleto c'è un responsabile di struttura complessa: cercheremo di andare avanti. La sanità è questa, non è incardinata sulla presenza degli assessori o dei direttori: cambiano tutti, quindi anche i chirurghi possono cambiare. Durante il mio Assessorato Patriti ha valorizzato la chirurgia robotica che era presente a Spoleto da anni, dovremo riflettere e caprie. Oggi la vera sfida non è il dopo Patriti, ma la collaborazione vera fra gli ospedali di Spoleto e Foligno. Qualora si riuscisse a crearla davvero, avremmo le condizioni per dar vita al terzo polo ospedaliero dell'Umbria. Ma per fare questo dobbiamo dire con chiarezza quali sono le competenze dell'uno e quali invece dell'altro. Solo allora riusciremo a dare risposte concrete a un terzo della popolazione della regione".
Il vecchio modello sanitario sta definitivamente tramontando. Secondo Lei quali sono i passaggi fondamentali per rinnovare e rilanciare il sistema Sanità in Umbria? "Ritengo che i temi principali siano due. Il primo riguarda una riforma vera, autentica della Sanità, organizzata con un'ottica e con soluzioni ed anche protagonisti diversi rispetto al modello costruito fino ad oggi, nato negli anni Settanta e ora superato. Ormai non si può parlare di sanità solo con gli ospedali, ma occorre mettere a sistema le strutture, il territorio, la sanità di prossimità, con il pilastro della prevenzione che deve essere un elemento indispensabile. L'altro tema è quello dello spazio ai nuovi professionisti, ai giovani e alle loro competenze in un mondo profondamente più vecchio di quello che sembra. Oggi in Italia abbiamo oltre il 60% dei medici che ha più di 55 anni. L'Umbria è in linea con questo dato. Tutti professionisti che prima o poi andranno in pensione. Nostro dovere è quello di creare le condizioni affinché i giovani che escono dall'università riescano ad inserirsi per tempo, a crescere professionalmente e a dare il proprio contributo al sistema sanitario senza andar via. Per realizzare questo secondo passaggio un ruolo fondamentale deve giocarlo l'Università e la collaborazione con la Regione. Occorre far crescere nuovi medici: questa è la ricetta giusta per favorire l'ingresso dei giovani nel nostro Servizio sanitario regionale".